Titolo: La perdita degli anni
Autore: Vito Ferro
Edizione: Autori Riuniti
Pagg: 141
Pubblicazione: giugno 2018-
Il tempo è un’illusione –Albert Einstein.
E il tempo è una delle possibili chiavi di letture de La perdita degli anni, Autori Riuniti, di Vito Ferro.
Una raccolta molto particolare di racconti che spaziano tra la realtà e il grottesco, tra realismo e surrealismo.
Il pensiero espresso, è sospeso come un funambolo su una linea immaginaria tra realtà e sogno, e così prendono vita personaggi bizzarri e non; personaggi innamorati che perdono l’amore e a cui resta solo una foto sbiadita:
“Ho pianto, quando ho scoperto la scomparsa del tuo viso. Me l’aspettavo, certo. Erano giorni ormai che camminavi, intrattenibile. Non poteva che succedere questo. E io non ho salvato niente, ho solo questa foto che sta svanendo piano, piano. I capelli, il collo, la schiena, una gamba e mezza, una scarpa.”
E ancora, l’attesa per una festa che durerà poco più di un batter di ciglia:
“Arrivammo alla festa doverosamente in ritardo, giungendo da un periodaccio. Cattivi pensieri, brutti momenti, guai, tutto un inverno di strascichi negativi. Litigi, mancanza di soldi, i denti, valigie smarrite, multe. Un figlio che non voleva saperne di essere concepito mentre io e lei stavamo ormai oltrepassandola linea sottile della gioventù.”
Un lavoro di cui vergognarsi ma che poi si accetta; la detenzione di un ragazzo; appartamenti che fanno sparire gli interruttori; la gelosia che trasforma un uomo in detective improvvisato; aste con oggetti davvero originali; bambini che spariscono ma non del tutto.
Sono voci, sono sussurri, sono anime inquiete che destano talvolta un sorriso, talvolta un’emozione struggente.
Si possono perdere gli anni come si perdono i capelli?
È ciò che succede al primo dei protagonisti della raccolta, La perdita degli anni, che scivolano via, inizialmente fitti, folti e poi il nulla
“Ho cominciato a perdere anni presto, molto presto.
I miei coetanei avevano ancora tutti i loro anni, folti, fitti, scuri, densi. Io invece, da che ero come loro, iniziai – ricordo era un sabato mattina – a trovarmeli nel letto, sul cuscino, per terra, davanti allo specchio del lavandino.
Erano anni che credevo potessi non perdere mai: sono sempre stato fiero dei
miei anni.
Da quel giorno è stata una caduta verticale, inarrestabile, ma non costante: a volte ne perdevo a manciate, altre pareva resistessero, attaccati al mio presente.”
Attraverso la creazione di personaggi e situazioni al limite del vero, Vito Ferro ci trasporta in un’atmosfera non idilliaca, ma assurdamente reale: eventi che presagiscono un realismo immaginario potente e fragile al contempo.
Fragilità, debolezza, sono il preludio di un’esistenza inquieta e malinconica.
Una sorta di presa di coscienza, un’interrogazione sulla caducità delle cose, le aspettative deluse, e le fragili emozioni che si perdono nell’amarezza della vita, ma sempre e comunque con un barlume di luce in fondo.
Non conosco bene l’autore, ma conosco bene gli autori del passato e del presente che sono stati grandi nel raccontare la vita attraverso i racconti.
Ci possiamo trovare un po’ di Buzzati o anche un po’ di Pennac, il buon Lupo Benni, ma sicuramente ci troveremo Vito Ferro.
Vito Ferro ha la capacità di plasmare le immagini attraverso una narrazione che guarda al futuro, in uno stile accattivante e che ti accompagna racconto dopo racconto.
Vito Ferro è nato nel 1977 a Torino. Ha pubblicato “L’ho lasciata perché
l’amavo troppo” (Coniglio editore, 2007), “Condominio reale” (Edizioni di
Latta, 2007), “Mentre la luce sale” (LietoColle, 2008), “Festival Maracanã”
(Las Vegas edizioni, 2012), “La vita va avanti” (Autori Riuniti, 2016).
Il suo blog è scrittoreadore.wordpress.com.
articolo di Loredana Cilento
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