Non sono un assassino di Francesco Caringella – Recensione-

Titolo: Jin sono un assassino

Autore: Francesco Caringella

Edizione: Newton Compton Editori

Pubblicazione: 2019

Pagg: 262

Recensione di François Morlupi


Non sono un assassino è un romanzo singolare, che abbraccia più generi. Sicuramente il principale, è quello del legal thriller. Il nostro protagonista è un vicequestore. Che non sia un eroe lo si evince fin dalle prime righe. E’ lui stesso ad ammetterlo, grazie allo stratagemma della narrazione in prima persona, sicuramente azzeccata, che aiuta il lettore ad immergersi in un caso districato e pericoloso.

Prencipe è infatti una personalità contorta, piena di difetti, narciso che confessa, senza problemi, di aver commesso, soprattutto nell’ambito personale/famigliare, molti errori. Con sua figlia e sua moglie i rapporti sono al minimo e la sua vita sociale è costellata da fallimenti. Un anima solitaria, dannata e respinta. Questa parte, sebbene ben descritta, risulta essere un poco banale e scontata. Ma nel contesto generale, assume una importanza decisiva nella spiegazione di un uomo che risulta essere, caratterialmente parlando, né bianco, né nero: realistico e comune.

Dove però il libro si riprende è nel nocciolo della questione: Prencipe è accusato di omicidio, nella fattispecie del suo migliore amico. La trama dunque sotto questo punto di vista risulta originale, abbiamo una situazione capovolta: un accusatore che diventa accusato. Un carnefice che diventa vittima. Molte righe vengono spese nella descrizione del processo, sapientemente descritto con dovizia di particolari e ottimi spunti riflessivi.

L’autore del resto è un magistrato, chi meglio di lui per mettere in risalto le contraddizioni del sistema italiano e i suoi punti di forza? Da qui, l’etichetta di romanzo legal thriller, senza ombra di dubbio. 

Non sono un assassino però è anche di più: è un romanzo sotto certi punti di vista introspettivo, che sfiora il diario intimista. Perché Prencipe si mette a nudo (o quasi) e racconta e descrive una società malata e malsana, che quotidianamente stritola il singolo individuo.

Effettua una autopsia su un cadavere che pensa ancora di essere vivo, sebbene sia morto da tempo. Le scelte del protagonista, possono essere comprese o meno dal lettore ma sotto alcuni aspetti sono quasi obbligate. Obbligate da una cornice spietata e cattiva. I personaggi di contorno, la pm, l’avvocato, sono tratteggiati ottimamente e aiutano a percepire questa atmosfera claustrofobica che pagina dopo pagina, si chiude come un cappio al collo attorno al protagonista. Il mondo rimane indifferente dinanzi ad una persona che sta rischiando l’ergastolo e di conseguenza, la fine della sua vita.

Dove il romanzo però lascia, secondo me a desiderare, è nella risoluzione. Il colpo di scena non è, a mio avviso, imprevedibile, sebbene tenti di affondare le sue radici nella classica intuizione geniale alla Agatha Christie. Io l’avevo capito a metà libro, ma forse è stato un mero colpo di fortuna. Risulta comunque efficace.

Ma è soprattutto nel secondo finale, onirico (o no?), metafisico che il romanzo lascia l’amaro in bocca. Una soluzione forse troppo semplicistica, che non mina il livello di un giallo atipico, che avrebbe potuto essere molto di più, ma che rimane un buon libro, che si discosta dall’oceano di banalità che puntualmente invade gli scaffali delle librerie.

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