Recensione di Loredana Cilento
Settembre 1972 di Imre Oravecz
Traduzione di Vera Gheno
16 giugno 2019
Pagine: 132
“E allora dicesti,
è finita”
Quante volte abbiamo sentito questa breve, dolorosa, lacerante frase dalla persona che abbiamo amato? Non tutti, ma molti sicuramente, mille volte, e mille volte ancora sarà pronunciata, perché l’amore è così quando finisce, una vita per amarsi e pochi secondi per lasciarsi.
Imre Oravecz il celebre autore ungherese ci omaggia dei suoi pensieri, quelli più intimi, quelli che si tengono nascosti in un angolo del cuore, perché fanno male, sono cicatrici impresse sulla pelle e scavano nell’anima.
Settembre 1972 non è un romanzo nel senso stretto del genere, è stato definito, prosa in versi o romanzo in versi, a me piace definirlo frammenti d’amore, un logorio inciso nero su bianco, in cui lo scrittore ungherese riversa tutta la sua tristezza e la sua sofferenza per il divorzio.
Un amore che nasce, si evolve, e poi si spegne fino alla fine.
“mi detti per vinto nell’impresa disperata solo quando anche là sentii intorno a me e in me la fine, e allora volevo realizzare le mie minacce, fare questo e anche quello, ma non per punirti di qualcosa che non avevi commesso, bensì per mettere alla prova la fine, quasi per andare alla fine della fine, e farti capire quello che stavi perdendo con tale fine,”
Lo stesso Imre dice “quello che io ritenevo una perdita per te era una vittoria”
La storia ha inizio con il più classico degli approcci, una miccia che innesca il più potente degli esplosivi, l’amore.
Imre Oravecz per esorcizzare, in un certo senso la separazione, che per lui è stata devastante, ha gettato tutte le sue emozioni in un diario dal quale ha poi estratto una sequenza di composizioni in prosa, che via via, come un mosaico, un puzzle, ha ricostruito la sua storia, dal primo sguardo che lo ha conquistato, fino alla fine della fine.
E poi abbiamo chiare anche le immagini di un contesto storico in cui versava l’Ungheria, il blocco orientale, il clima che si respirava, sono momenti vissuti dall’autore, e che in un certo senso si percepiscono, se pur sfumati, in questi 99 quadri.
Settembre 1972, che vide la luce trent’anni fa e che solo dopo un giorno andò in ristampa, la dice lunga sulla bellezza di un capolavoro che non risente dei tempi, ma anzi, si potrebbe dire che Settembre 1972 è come il buon vino…
Se eravamo abituati alle atmosfere grigie (quasi asfittiche) della letteratura ungherese, con Settembre 1972 abbiamo un libro d’amore scevro dagli stereotipi edulcorati del romanzo di genere; apre le porte a un genere che rende omaggio alla vera letteratura, quella da leggere e rileggere, e grazie ad Anfora Edizioni che, quasi in punta di piedi, regala, con una nuova traduzione curata da Vera Gheno, un gioiello raffinato da gustare lentamente, pagina dopo pagina.
E per questo libro ho voluto unire le mie riflessioni con un altro lettore che come me ha amato Settembre 1972 di Imre Oravecz.
A cura di LV
Quando in uno degli inserti letterari lessi la notizia del l’imminente uscita di “Settembre 1972” dello scrittore ungherese Imre Oravecz mi premurai innanzitutto di raccogliere notizie sull’autore (e che autore) che non conoscevo e poi di fare un ripasso su quella che era, non è difficile immaginare, la situazione storica, politica e economica della nazione ungherese, non dissimile da quella di tutte le altre nazioni orientali dominate dalla dittatura sovietica. Bingo! Anche Imre Oravecz in sede di presentazione ha quasi affermato che “Settembre 1972” si riesce a comprendere meglio se si entra nell’atmosfera di quegli anni terribili. Imre Oravecz aveva solo 13 anni nel ‘56 data della famosa rivolta ungherese soffocata nel sangue dai carri armati dell’Armata rossa, ma ne aveva 30 nel 1973 quando di ritorno dall’Iowa per ritirare un premio fu trattato da dissidente. Ne aveva uno in meno quando nel “Settembre 1972” la sua storia d’amore, il suo matrimonio, arrivarono all’epilogo.
È stata una mia curiosità, ovviamente, ma “Settembre 1972”, per la semplicità della trama, per il linguaggio altrettanto semplice e nello stesso tempo schietto, puro e senza contaminazioni, che racconta tutto nei minimi particolari senza omettere assolutamente nulla, si può leggere senza conoscere necessariamente la storia ungherese, perché questo di Oravecz non è un romanzo nel senso stretto del termine ma sono delle istantanee, direi quasi delle fotografie, che raccontano la nascita, la crescita e la fine di una storia d’amore. La storia di Imre per la precisione. E Imre Oravecz lo fa imprimendo su carta i suoi pensieri scritti semplicemente a matita per riuscire a metabolizzare e superare la sofferenza per quell’amore sofferto. Non trascura niente e non omette nulla e con la stessa intensità parla così come dei primi incontri e dei primi amplessi anche delle gelosie e dei tradimenti.
“NON FU
un grande amore, una sfida al destino, inebriante, pericoloso, fu solo amore, costante, soave e intenso, privo di eccessi e che si prospettava duraturo, bello, e per il fatto di essere bello era affidabile, ci si poteva contare, come sul giorno che segue la notte o sulla primavera che dà il cambio all’inverno, e io infatti ci contavo fino a quando non ebbi la certezza che la coabitazione non reggeva nemmeno la prova dei problemi quotidiani, ma quando ne ebbi la certezza e vidi, giorno dopo giorno, come si restringeva e soccombeva sotto il peso degli scontri, levai le tende, e anche se mi supplicasti di rimanere, tagliai la corda, non fu una decisione semplice, ancora più difficile fu mantenerla, ma la mantenni, ed ecco, il tempo ha dato ragione a me, perché dopo vennero altri amori, più grandi e ancora più grandi, ma nei confronti di quelle che mi hanno infiammato sono ormai indifferente, mentre nei tuoi confronti che ardo ancora silenziosamente, chiedo ancora di essere parte della tua vita, se non in altro modo, almeno venendo ogni tanto a trovarti e ascoltarti perché tu possa confidare a me il tuo cuore, e possa sfogarti di come sei insoddisfatta di te stessa, di tuo marito, di tutto, anche se poi in cambio e come risarcimento posso solo darti il fatto che io non mi sfogo con te ma con qualcun’altra che un tempo scappo da me”.
Un po’ lunga ma l’ho voluta riportare perché mi sembra l’istantanea che meglio rende l’idea dell’amore travagliato di Imre Oravecz e sua moglie.
Ce ne sono tante (in tutto sono 99 brevi istantanee) e altrettanto belle quale ad esempio “CHE SAREBBE STATO” un’istantanea in cui Imre sembra rimpiangere il passato e si chiede, e chiede alla ex moglie, che sarebbe stato il loro amore se…
Oppure “ADESSO PROVO A IMMAGINARTI” in cui Imre, senza peli sulla lingua, ricorda alla ex moglie che il peso degli anni ora grava su di lei in senso anche fisico e che anche la sua nuova relazione si trascina tra tradimenti e minacce di divorzio.
Ne potrei citare veramente tante e tutte di grande intensità emotiva che potrete scoprire e assaporare solo leggendole.
“ORMAI DESIDERO SOLO
ciò che deve ancora venire, il lento distacco, l’orribile conclusione, la disfatta completa, quella personale, a me destinata… non farò più quello che ancora faccio, quando rinuncerò anche a te e non ci sarà più né passato, né presente, né piacere, né sofferenza, e non ci sarai nemmeno tu, perché non vorrò che tu ci sia, ci sarà solo un futuro, bello e impietoso”.
Imre Oravecz (1943, Szajla, Ungheria) è poeta, scrittore e traduttore. Nonostante le sue prime poesie fossero apparse nel 1962 nella prestigiosa rivista letteraria Alföld, ottenne la possibilità di pubblicare
il primo libro soltanto nel 1972: “Scrivevo di cose completamente diverse rispetto a quelle di cui scrivevano gli altri scrittori e questo già in sé significava uno svantaggio. Inoltre, quello che scrivevo era contrario alle dottrine del socialismo reale, nel segno delle quali si poteva pubblicare.”
Nel 1973, dopo Magda Szabó, fu invitato a partecipare nell’International Writing Program dell’Università dell’Iowa. Quando fece ritorno in Ungheria fu considerato e trattato da dissidente.
Nel 1989 il governo comunista gli offrì il prestigioso Premio Attila József che lui rifiutò. Lo stesso anno decise di emigrare negli Stati Uniti ritornando in patria nel 1990, diventando consigliere presso la presidenza dei ministri nel primo governo eletto democraticamente.
Ha anche lavorato come redattore per diversi giornali e come docente universitario presso l’Università Cattolica di Budapest.
È uno dei più acclamati letterati ungheresi, stima comprovata da vari riconoscimenti, come il Premio Kossuth (2003), il Premio Prima (2015) e il Premio Aegon (2016).
L’ha ripubblicato su l'eta' della innocenza.
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Ho visto grazie infinite ❤️
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