Sadeq Hedayat La civetta cieca – Carbonio Editore
Traduzione e introduzione di Anna Vanzan
Recensione a cura di LV
Spleen
Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio sullo spirito che geme in preda a lunghi affanni, e versa, abbracciando l’intero giro dell’orizzonte, un giorno nero più triste della notte;
quando la terra è trasformata in umida prigione dove la Speranza, come un pipistrello, va sbattendo contro i muri la sua timida ala e picchiando la testa sui soffitti marci;
quando la pioggia, distendendo le sue immense strisce, imita le sbarre d’un grande carcere, e un popolo muto d’infami ragni tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli, improvvisamente delle campane sbattono con furia e lanciano verso il cielo un urlo orrendo, simili a spiriti vaganti e senza patria, che si mettono a gemere ostinatamente.
– E lunghi trasporti funebri, senza tamburi né bande, sfilano lentamente nella mia anima; vinta, la Speranza piange; e l’atroce Angoscia, dispotica, pianta sul mio cranio chinato il suo nero vessillo.
(Charles Baudelaire)
Se avete un po’ di tempo dedicatelo alla lettura di queste 135 pagine di straordinaria bellezza. Tre/quattro ore del nostro tempo li merita.

È come leggere in prosa le poesie di Baudelaire, o di Rimbaud, o di Verlaine… sempre che vi siano graditi i cosiddetti “poeti maledetti”.
Una piccola casa editrice che non conoscevo per niente ha ripubblicato il testo di Hedayat considerato il “padre” della letteratura persiana moderna o quantomeno colui che l’ha svecchiata. Negli anni ‘60 era già stato pubblicato da Feltrinelli e da SE poi il libro è entrato nell’oblìo. Anche in patria non ebbe tanta fortuna a causa dei temi che tratta e l’autore, dedito all’uso di oppio, fu addirittura esiliato dal “regime” dello Scià Reza Pahlavi e boicottato e ridotto al silenzio anche dal regime degli ayatollah.
È un testo sì poetico ma anche molto duro in cui l’autore scarica tutta la sua tristezza, la sua disperazione, la sua incapacità di intrattenere un qualsiasi rapporto col mondo esterno, la sua angoscia esistenziale e tutto il suo “male di vivere”. Ciò sarà la causa scatenante che lo porterà al suicidio mentre era in esilio a Parigi.
Non so se sia il momento giusto per leggere un testo così forte e triste in cui il protagonista vede la sua morte con il suicidio come unica soluzione ai suoi mali. Io l’ho letto e ne sono uscito vivo.
Sadeq Hedayat (Teheran, 1903 – Parigi, 1951) è stato tra i massimi intellettuali iraniani del XX secolo. Di famiglia nobile, frequentò un liceo francese a Teheran, per poi trasferirsi in Belgio, a Parigi e successivamente in India. Studioso della letteratura occidentale, della storia e del folklore dell’Iran, tradusse numerose opere in persiano e fu autore di romanzi, raccolte di racconti, saggi critici e opere teatrali. Morì suicida a Parigi. Pubblicato a Bombay nel 1936, La civetta cieca poté cominciare a circolare in Iran soltanto nel 1941, dopo l’abdicazione di Reza Shah Pahlavi, e tuttora subisce una forte censura in patria.