Ricomporre amorevoli scheletri
Giovanna Rivero
Recensione di Loredana Cilento
La grafia di quella lettera naufraga è rotonda, chiara. È una grafia senza difetti, alle prime armi, e nell’insieme consonanti e vocali sembrano meravigliarsi della loro capacità di oltrepassare i tratti stessi e significare altro, attraverso i mari e il tempo.
Seducenti e inquietanti i quindici racconti della scrittrice boliviana Giovanna Rivero, raccolti in un’opera straordinaria e unica, Ricomporre amorevoli scheletri, Gran Via edizioni, 2020 a cura di Matteo Lèfevre.
Attraverso il corpo si esprimono i personaggi protagonisti di un libro che scandaglia l’animo e lo confronta con il mondo circostante, tra distopia e metafora, la Rivero narra l’inesorabile vita riflessa di chi cerca di ricomporre i corpi dilaniati dalla follia, dalla disperata ricerca di sé in un microcosmo oscuro e metafisico.
Ma non solo il corpo umano è protagonista: si mescolano tra resti umani quelli del mondo animale: la cagna Yerka che divora i suoi cuccioli, o la gatta Lucia che non si fida degli umani, e ci sono poi i sacrifici in nome di un profeta che guida una setta in rituali selvaggi che dilaniano il corpo e la mente.
Un parallelismo tra mondi interni ed esterni e queste creature li abitano con amarezza e inquietudine, ma che non possono fare altro che viverli.
Una scrittura dunque amara, scevra da un romanticismo edulcorato, la Rivero punta al cuore del lettore, drammatica eppure ricca di sensualità, ricompone sottilmente il dolore ancestrale dei corpi attraversati dall’alienazione e dal disagio interiore reso esasperato dal vivere quotidiano.
“Non voglio che il rituale finisca, anche se le viscere cominciano a bruciarmi, mentre l’Evo agita il suo bavino incaico, distoglie lo sguardo, e non c’è piacere.”
Ricomporre amorevoli scheletri è un libro semplicemente meraviglioso!
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