Autoritratto con pianoforte russo di Wolf Wondratschek
Edizioni Voland,2021
Pagg:176
Traduzione di Cristina Vezzaro
Recensione di Loredana Cilento
A volte penso che la felicità di un uomo consista proprio nel non cercarla né volerla trovare. Più felice ancora è solo chi non ne fa un caso, nemmeno nella sventura.
In un’ umida giornata uggiosa due uomini si incontrano in un caffè di Vienna, La Gondola, uno scrittore sconosciuto e un anziano pianista russo, Suviron. Tra quei tavolini sempre affollati e un bicchiere di acqua calda, che ordina sempre il pianista, i due si inoltrano nei ricordi a volte malinconici di una carriera artistica ormai passata.
È così che ha inizio un viaggio nelle memorie di un vecchio pianista che ha rinunciato agli applausi, quasi come se ne fosse allergico, infastidito, ma è anche un viaggio attraverso il quale possiamo immaginare la vita di un’artista russo alle prese con un funzionario del Comitato che lo “invita”a un comportamento più consono nei confronti dell’arte, se rifiutava la gioia degli applausi, rifiutava il suo popolo: il Comunismo. Ma Suviron non si lascia intimorire, può sempre contare sulla sua devota consorte.
Odio gli applausi .Che sciocchezza, tutto quell’applaudire! La prego, non li potevo reggere! Non quando stavo sul palco…
Suviron, dopo la morte della sua amata, vive praticamente in solitudine in un appartamento poco curato e disordinato, un lungo flusso di coscienza, un monologo che instaura un’affinità quasi elettiva tra lo scrittore e il pianista, legati dall’amore per la letteratura: Con Suviron si poteva parlare di poesia. Conosceva i russi, li amava più dei compositori della sua patria.
Al tavolino del caffè Gondola si evoca il ritratto di un uomo saldo nelle sue convinzioni, che preferisce suonare nei piano bar, un uomo che non si lascia lusingare dal successo e dagli applausi, un uomo che sogna con la moglie di andare a Sanremo, un’isola che trasforma gli uomini in fiori.
Wolf Wondratschek ha giocato con un linguaggio innovativo, vibrante come una sonata di Schubert, una melodia che unisce l’anima disincantata di Suviron ai suoi pensieri frammentati che attraversano con le note della sua vita, quelle dello scrittore, che si fa portavoce in prima persona degli ideali, dei ragionamenti, dei desideri di chi ha scelto di non apparire più al mondo come artista di successo.
...con i colleghi che miravano alla perfezione avevo delle difficoltà, a volte perfino discussioni accese, feroci addirittura, quando eravamo tutti ancora studenti. Cercavo piuttosto il contrario della perfezione. Che poi, cos’è la perfezione? Ero, quando suonavo, come il giovane che sulle scale fa quattro, cinque gradini in un sol balzo. Ogni concerto era una nuova occasione.
A noi lettori è stata data la possibilità di lasciarci affascinare da due voci: il narratore ovvero lo scrittore e Suviron, di cercare di rispondere alle mille domande che via via si pongono tra le righe, ma forse le risposte non arriveranno mai in un crescendo di discontinuità, nel lungo flusso narrativo in un gioco linguistico che crea bellezza e armonia.
Autoritratto con pianoforte russo di Wolf Wondratschek, tradotto dalla bravissima Cristina Vezzaro per Voland edizioni, è semplicemente un libro meraviglioso!
Wolf Wondratschek. Scrittore, poeta, sceneggiatore, nato a Rudolstadt nel 1943, cavalca dagli anni ’60 la scena letteraria internazionale, in cui è noto come esponente della Beat Generation tedesca. Dal primo romanzo del 1969 si è affermato come figura innovativa per la sua tecnica letteraria ispirata al cinema in cui combina prosa corrosiva e laconica ironia. Vicino ai movimenti di protesta degli anni ’70, famoso per le raccolte di poesie dove i toni della musica rock si legano ai temi della cultura pop, la sua produzione cinquantennale ‒ che comprende anche racconti, reportage e radiodrammi ‒ alterna critica sociale, intimismo e ritratti di artisti. Attualmente vive a Vienna.
Rispondi