A tu per tu con l’autore Paolo Pera e la sua nuova pubblicazione Pietà per l’esistente. Satire e poesie censurabili – Ensemble Edizioni

Sono lieta di ospitare nel mio blog il giovane poeta e scrittore Paolo Pera e la sua nuova pubblicazione Pietà per l’esistente. Satire e poesie censurabili (Edizioni Ensemble, con una postfazione di Andrea Laiolo) una variegata raccolta di testi critici (sferzanti, seppur ironicamente) verso la contemporaneità politica, religiosa, estetica e umana.

Paolo Pera

Grazie Paolo per aver accolto il mio invito, e complimenti per la tua nuova opera: a quanto ho letto sei un artista a tuttotondo; hai pubblicato La scuola attraverso i miei occhi (Vertigo, 2012) e la raccolta poetica La falce della decima musa (Achille e La Tartaruga, 2020). Nel 2021 Pierino Porcospino (Gian Giacomo Della Porta Editore), una riscrittura del classico per l’infanzia di Heinrich Hoffmann. Sei anche fumettista, pittore e scultore. Collabori infine con diverse riviste online in qualità di critico.

PAOLO. Grazie a te per l’ospitalità, non sono abituato alle formule cerimoniose (egli è questo, questo e quest’altro…). Esisto ma mi pare di non essere, ciò che faccio mi è al quanto estraneo… soprattutto dopo anni. E qui vorrei decisamente disconoscere il primo librino (scritto all’età di 14 anni), ossia La scuola attraverso i miei occhi, dalla mia bibliografia. Vorrei ma non posso, il passato vive solo in noi ma talvolta resiste pure fuori. Ripeto: vorrei ma non posto, similmente a certuni che vengono detti più poeti dei poeti, cantori della “novella poesia”. Fumettista lo fui invece per molto tempo, e come unica passione (sfrenata!), fino al 2018; ma è poi arrivata la Parola: voce silenziosa che nel poeta (nel mio caso poetucolo) si dice. L’apprendistato tecnico mi ha poi dato l’ossessione d’essere composto nella stesura in linguaggio della stessa… Ma quanto mi manca il fumetto, ho ancora nel cassetto almeno una quarantina di storie surreali da mettere in bella copie, da “chinare”. È che non ebbi mai modo di percepire un’approvazione vera per queste storie, né tantomeno per lo stile (volutamente straniante, alcuni dicevano ingenuo…), dirigersi infine verso la Parola è stata forse la volontà di stare nel non-visibile (non nell’invisibile): in ciò che va disegnato in sé stessi leggendo o sentendo, coi sensi, anziché vederselo dinnanzi fatto. Quasi una (pre)volontà di sparire…? Boh.

Hai dichiarato che la raccolta nasce come un omaggio a Ezra Pound, un poeta da te amato, uno dei protagonisti del modernismo e della poesia di inizio XX secolo.

PAOLO. L’ho detto, sì. Non che sia in grado di spiegare tutta la genesi del mio pensiero. Pound, subito dopo Thomas e pochissimi altri, fu tra le mie prime letture poetiche. Da buon dislessico ho maturato interessi e capacità con estrema lentezza, ora sono un discreto lettore di poesia, arte frequentata dai vent’anni in avanti (povero me, prima d’allora leggevo solamente romanzi, quasi non capendone un rigo… Fu, ed è tutt’oggi, una tragedia questa mia deficienza!). Pound mi rapì, non che lo capissi (ovviamente) ma aleggiava intorno a lui un che di misterioso e proibito dato l’oscurantismo creato intorno alla sua figura. Ricordo un anziano amico, quando seppe del mio interesse per Ez esclamò: «Leggi Pound? Ma lo sai che Pound è fashista?» (sì, lo disse proprio come Peppone svegliandosi dalla pennica in Parlamento). Fu proprio costui, che la conosceva, a presentarmi l’amatissima figlia di Ezra: Mary de Rachewiltz, della quale conservo un ricordo vivido e molto caro. In soldoni, comunque, questa mia Pietà per l’esistente si propone di essere la prima anta di un dittico che – preso nell’insieme – vorrebbe (almeno nei miei desideri) essere lo Hugh Selwyn Mauberley contemporaneo (metà pena di sé stessi e metà commiserazione, ma critica, dell’essente) … Il resto è già nel mito.

Pietà per l’esistente. Satire e poesie censurabili è una critica sociale in versi, gli uomini sono vittime del tempo, della contemporaneità, vedi un decadentismo dell’anima nei tempi moderni?

PAOLO. Non so bene cosa vedo. Vedo e non vedo, dipende dai giorni… Faccio eremitaggio in casa mia, dunque vedo se esco nel mondo “secolare” (risate in studio). Io non sono di certo un “ricchissimo di spirito”, semmai un analitico e un contemplatore, non per forza della bellezza, molto più spesso del brutto. Di ciò che è piccolo, insomma. Non a caso ho fatto un libro di versi sufficientemente leggibili per narrare la mia visione del brutto contemporaneo. Poi, chessò, tendo a credere che ogni epoca abbia avuto la sua vasta dose di “decadenza dell’anima”. A me questo non importa, mica sono un religioso, un bigotto, un metafisico, suvvia! Non fatevi ingannare dalla quarta di copertina, ma leggete il contenuto. Benché leggere questo terzo libro sia comunque poca cosa… La mia Opera è asistematica: ogni elemento che la compone è una particella che per lo più contraddice l’altra in un Tutto che andrebbe letto nell’insieme per capire l’un quarto di quel niente che comprendo io del mio pensare in poesia. Non vorrei apparirvi arrogante, nel caso chiedo perdono, ma il mio lavoro (pro bono, però) è pensare, ed è la chiarità di pensiero l’unica cosa che mi inorgoglisce di me stesso. Tutto il resto è, in potenza, putredine. Per risponderti, dopo un po’ ce la fò, io non voglio dire che l’Uomo cerchi il brutto perché convinto che sia bello, ma mi è molto più facile fingere che esso voglia imbruttirsi per coerenza logica: portando in superficie il suo senso di niente, il suo dolore (dovuto alla consapevolezza del morire). Ma scherzo, eh. So bene che pochi individui fanno giornalmente i conti col loro morire (essere per la morte, giusto?), questo è un pensiero da ficcare sotto il tappeto! Come può dunque l’Uomo imbruttirsi per dimostrare di patire l’idea della sua morte se, invece, non l’avverte? Forse ha ragione il mio amico Franco Trinchero (che io chiamo Mago Frank): «Il “dolore” che porta ad abbrut(t)imenti visti come bellezze a buon mercato, non è in particolare la percezione della mortalità, ma il “disagio della civiltà” teorizzato da Freud, ovvero la repressione degli istinti». Al contempo non voglio neppure metterla come Mario Marchisio, che mi è stato maestro, che vede l’Uomo corrotto nel profondo sul nascere… Per ulteriori informazioni rimando alla loro letteratura. Dunque facciamo finta che c’entri il dolore, va.

Cos’è per te la bellezza? Dostoevskij scriveva che la bellezza salverà il mondo, la poesia può arrivare a illuminare i recessi più bui dell’anima?

PAOLO. La bellezza salverà il mondo? Se per mondo intendiamo quei pochi eletti che sanno combinare qualcosa con la bellezza deve essere vero per forza. So’ forse aristocratico? Ma no… A volte mi domando se la bellezza sia utile, in fondo. Forse è solo meno sgradevole dell’imbruttimento odierno, ma che cosa è bello? Madoi, che domande mi faccio: io studio estetica ma mica sono estetologo, eh… Penso, mediocremente, che la bellezza sia la semplice ordinarietà. Quanto esce dall’ordinario sconfina dalla bellezza verso altre forme della ricettività sentimentale: nel sublime, che sta pure nel ridicolo e nel kitsch (principe del ridicolo), nel brutto che talvolta è decisamente più interessante del comune bello. Siccome, poi, quasi tutto è brutterello, tutto m’appare almeno minimamente interessante da osservare. Che concezione che ho, nevvero? Infine sono tutte opinioni fossilizzate sulle percezioni reiterate… Ho, infine, degli amici-un-po’-detrattori che di me ripetono: «Pera è cantore del brutto, il bello non gli riesce», pazienza! Neppure cerco la “bellezza” in sé, là dove altri pensano di essere sublimi – nelle loro retoriche aggressive – e invece rasentano sempre e solo il ridicolo, a parere del Pera (ripeto).

Chi è il poeta non indispensabile?

PAOLO. Di certo Pera… Non indispensabile è la poesia (ossia quella scritta), alla fin fine; indispensabile è la Poesia (quella percepita), che viene e va… Fermarla a volte e un delitto, è atroce, particolarmente se poi non si infonde nella parola che vorrebbe contenerla. Ma che faccio, la metafisica delle Muse? Un amico-poeta, Paolo Gera (quasi completamente omonimi! e, no, non l’ho inventato), cercando di fare il piccolo Wittgenstein della poesia ha composto delle Ricerche poetiche che sfociano nell’astensione, nella pagina bianca. Ecco, forse il rispetto per la Poesia dovrebbe ridursi a questo, a non “immortalare” alcunché: lasciando morire l’ispirazione di attimo in attimo, in preparazione al Nulla o alla restituzione del sé al Tutto (che sempre annullamento è). Dicesi “esilio terrestre” l’essere qui vivi avendo sottratto all’essente quel poco di mal utilizzata scaglia di Luce, d’energia. Ammetto però, viva la contraddizione! (con un nobile predecessore come Whitman, poi… peccato che i poetini italiani amatori di Whitman non conoscano alcun ritmo, o – tengono che lo dica! – che conoscano solo ritmi brutti: ritmi “non canonici”… Va be’); ammetto, dicevo, che non fissare l’ispirazione mi è però impossibile, e perderla tragico. Per questo mi dicono grafomane, o – più delicatamente – sbrodolone… Io, comunque, preferisco Sbrodolina Tutta Bella, sia reso noto.

La poesia, con mio grande dispiacere, non è così fruibile come la prosa, secondo te perché?

PAOLO. È il contrario per me che – da dislessico – nella prosa mi perdo dopo poco se non leggo ad alta voce, ma leggo pure ad alta voce le poesie (per altre ragioni, però. Ragioni ovvie, vediamo chi le sa…), dunque tanto vale. Ora rispondo, ma prima tengo a dire che un altro caro amico, Gabriele Scarpelli, per lo stesso motivo ha coniato (su mia ispirazione, diciamolo!) il termine «prosa a cascata»: adatto a quella poesia prosastica che talvolta va a capo. Ciò, lo spiego bene nella postfazione alla sua opera provocatoria, Sono omofobo e razzista, mi pare sia uno strumento retorico adatto per superare definitivamente la metrica classica qualora interessi farlo, ma dico pure che questo “andare a capo” (acapismo?) di molta poesia naïf odierna deve di certo essere un modo che i tanti con difficoltà di lettura (pari a me…) hanno per rendersi meno faticosa la rilettura dei propri testi. Non so se mi spiego. Io, per esempio, non ho capito… Perché, mi chiedi? Forse perché la gente in media (e non per fare il nobilotto, di origini contadine, con la pelle eburnea) non ha ispirazioni profonde, e naviga l’esistenza così come il bestiame calpesta l’erbetta del pascolo e/o la paglia sporca di chissà che. Mi pare evidente che un’umanità ineducata ai pensieri alti, alla contemplazione della propria ipotetica profondità, non legga poesia… La poesia è cosa semi-divina, è cosa da eletti, da giusti. Infatti, guarda caso, i vanesi, i presuntuosi sono poeti pessimi! La poesia vuole gentilezza, purezza. Quanti meschini, quanti inautentici, nel mondo della poesia… E poi, beffa delle beffe, se v’è qualcuno che legge poesia da queste parti si può stare certi che per la maggiore leggerà “poesia” illeggibile, se non della “non-poesia”. Penso agli Instapoet passati alla gloria dei grandi marchi editoriali, penso sennò ai poeti da tematica mainstream (madonna mia!), per non parlare di certi nomoni (nomi nominosi, nomi che nomeggiano) che si tramandano principati editoriali scegliendo appositamente (per la pubblicazione, o per eleggerli quali eredi) i peggiori versaioli in circolazioni, al solo fine – io credo – di burlare la gente, se non di riformulare la concezione stessa dell’arte poetica. Io non capisco – no, non ci riesco! –, come faccia a regnare l’insignificanza e l’illeggibilità in questi luoghi. Eppure, i giovani, il “pensiero musicale” lo cercano entro la lingua d’Albione… non sarà che, tentando poi di portarlo in lingua patria, (senza accorgersene) si dimostrano palesemente incapaci di musica: incapaci di sdoppiare le logiche di pensiero di queste due diversissime lingue? Privati dunque dalla “lingua utile” per la troppa Utilità, ma pure d’educazione al pensiero armonico… Il linguaggio è prima pensiero e poi parola, no?

A un aspirante scrittore cosa ti senti di consigliare? Cosa occorre per diventare un poeta oggi?

PAOLO. A un aspirante scrittore (termine che io non amo affatto, mi sa di artigianato… io invece cerco l’Arte: robusta differenza) consiglio di non chiedere niente a me, io non ho sapienza vera da dare, non ho consigli neppure per me stesso. Se mai mi incontrerò per strada non mi chiederò niente, giusto un cenno del capo (forse, anche no). Cosa serve? Secondo me un bel florilegio di maestri, tra cui due o tre che seguano costantemente… Ci sono sapienti in giro (non io, ovviamente. Non ancora, se volete darmi delle speranze), sapienti tanto desiderosi d’insegnare, sapienti che hanno tanto da dire. Io ne ho conosciuti diversi, cari amici che mi hanno aiutato a imparare a fare quel poco che credo (credo di credere?) di saper fare. Il giovane necessita di maestri. Punto. I giovani cerchino i maestri anziché farsi i complimenti a vicenda per gli scarabocchi che pensano d’aver scritto (benché in realtà non abbiano scritto neppure questi).

Che forma ha per te il dolore?

PAOLO. Svariate! Silenzio allucinato, implosione del cervello, urla, spasmi, buio, sapori acidi, raptus suicidi, ricordi d’amate perdute, d’amici che hanno tradito, rimpianto, senso di colpa, solitudine, senso dell’errore, del peccato, malattia vista dall’esterno, ateismo, castrazione, auto-castrazione, dislessia, balbuzie, afasia, putrefazione, solipsismo, insonnia, tic, prurito, incontinenza verbale, imbarazzo, derisione, bullismo, obesità infantile, adolescenza, l’invidia che ho provato per chi fu destinato a un’esistenza differente, normale. Il Nulla…

Credo che dietro a ogni scrittore, come dico sempre, ci sia un grande lettore: cosa ne pensi?

PAOLO. Penso che (ci) hai ragione! Ma per quanto si legga non basta mai, eppure nulla ha senso… Particolarmente leggere, ma ancora di più scrivere. Vedi sopra, sotto, destra e sinistra.

Prima di congedarci ti chiedo se ci lasci una delle poesie tratte da Pietà per l’esistente. Satire e poesie censurabili. Grazie ancora per questo incontro virtuale.

Stra-volentieri, questa esplicita bene tutto. Un grazie sincero.

*

RIAPPROPRIARSI DEL NULLA

Hai ragione, nella mia contraddizione

Il Nulla è una certezza;

Eppure abito il dubbio…

Scetticamente non so niente,

E voglio ignorare

Quel Dio che negherei

Se me ne interrogassi.

Oscillo, come un ciondolo perenne,

Tra ciò che ignoro e quanto temo.

Quest’ultimo mi pare molto vero…

M’accorgessi almeno

D’avere scelto già

Contro ogni pia illusione!

M’arrabatto invece a pensare

L’Essere quale stabilità,

Anziché quel divenire

Che mi dilania e decompone.

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