Da libraio a scrittore Stefano Amato si racconta- Intervista all’autore –

Ho conosciuto Stefano Amato attraverso i suoi libri e leggendo il suo blog L’apprendista libraio, dove raccoglie le domande più bizzarre dei clienti ai librai, ispirato dall’esperienza come libraio e dei suoi colleghi.

Scrittore, traduttore, fondatore e direttore della rivista A4. 

Grazie mille Stefano per essere qui con me.

S: Grazie a te, per me è un piacere.

 

L’apprendista libraio è stato riconosciuto come miglior sito letterario vincendo ben due premi Macchianera, raccoglie le domande più surreali fatte da clienti ai librai, come è nata quest’idea? Ce ne racconti un episodio?

S: L’idea è nata così: annotavo le uscite più strambe dei clienti, un po’ come si fa a scuola con i professori, e poi le pubblicavo sul mio blog personale. Quando queste uscite hanno cominciato ad accumularsi, ho deciso di aprire un sito apposito e differenziare un po’ il formato, aggiungendo grafici, illustrazioni eccetera. Purtroppo da qualche tempo aggiorno il sito meno di frequente, forse perché non lavoro in libreria ormai da qualche anno e quindi non ho più materiale di prima mano.

L’episodio che mi rimarrà per sempre impresso è quello di una signora che in libreria ha detto: “Volevo ordinare un testo, ma mia figlia deve avermi dato il titolo sbagliato perché secondo me non esiste un libro chiamato così.” E io: “Così come?” E lei: “Eneide.”

 

A4 una rivista letteraria dal nome particolare, ha delle regole specifiche? 

S: Sì, visto il formato della rivista (è contenuta in un foglio solo, da cui il nome) i racconti proposti e pubblicati devono avere una lunghezza precisa: minimo 1500 parole (mi raccomando: parole; non battute), massimo 2000.

Per ragioni di compatibilità, meglio che il file sia in formato .rtf. Per riuscire a risalire all’autore, infine, il nome del file deve essere del tipo NomeAutore_TitoloDelRacconto. Il genere dei racconti proposti non è importante. Mi piacerebbe molto pubblicarne uno di fantascienza prima o poi. A marzo invece è in uscita un numero illustrato, cioè contenente una storia grafica, diciamo così.

 

E ora parliamo dei tuoi libri in particolare Vedrai, vedrai uscito a gennaio e pubblicato da Giunti, una storia d’amore tra i fornelli, ma non solo, un libro sulle scelte di vita, e le conseguenze di queste.

S: Esatto, ma anche sulla capacità (o incapacità) di impedire a queste scelte passate di influenzare il nostro futuro. Un’attitudine che la madre del protagonista riassume con la frase che ripete per tutto il libro come una mantra: “lo sai perché il passato si chiama così? Perché è passato”. Il problema di molti di noi, mi sembra, è che siamo troppo concentrati sul passato, su quello che è stato. Ci torturiamo proiettandoci in testa, di continuo, errori commessi, scelte sbagliate, dialoghi alternativi.

Un atteggiamento, questo, che è la specialità di chi ha vissuto una delusione d’amore o un rifiuto. Forse la chiave per uscire da una delusione è proprio quella, per quanto banale possa suonare: dimenticare il passato e guardare avanti. Ma serve talento e pratica per riuscirci.

 

La tua terra è sempre presente nei tuoi libri, il protagonista lascia il suo paesino per cercare al nord un futuro diverso, in molti fanno questa scelta a volte dolorosa, ma poi capisci che la vita che sognavi, è riservata a qualcuno che non sei tu, è così?

S: Parlando con amici e conoscenti che hanno lasciato la Sicilia per trasferirsi altrove (non necessariamente al Nord Italia), mi sembra quasi sempre di cogliere una punta di delusione, il dubbio di avere sbagliato ad andarsene, la sensazione di essere stati ingannati dal posto che hanno scelto in cui vivere. Come se si fossero aspettati chissà cosa, e invece fanno una vita tutt’altro che invidiabile. Forse per questo io non mi smuovo dalla Sicilia: delusione per delusione, tante vale starsene a casa. Anche perché più tempo passa, più ho la sensazione che il posto in cui vivi è importante solo fino a un certo punto, se innanzitutto non stai bene con te stesso. Nel libro, il protagonista Alessio sperimenta tutto questo sulla propria pelle. Va a Milano sperando di fare una vita eccitante, diversa, e per un po’ è anche così, ma alla lunga capisce che quella città non fa per lui e torna in Sicilia.

 

Personaggi ben caratterizzati, dove trai ispirazione per i protagonisti delle tue storie?

S: Credo siano un misto di amici, conoscenti, personaggi di altre storie, gente vista per strada, familiari e, più spesso di quanto mi piacerebbe ammettere, me stesso.

 

Ho curiosato un po’ in rete e ho letto che da grande volevi insegnare, e non solo…hai suonato in un gruppo punk-rock, poi libraio ora scrittore, ce ne parli?

S: È vero, per un po’ ero convinto che sarei stato un insegnante. Ho pure cominciato la trafila fatta di supplenze e punteggi e via dicendo, ma ho capito presto che non faceva per me, mi sono stufato e ho lasciato perdere. Devi avere la vocazione per fare l’insegnante, credo, altrimenti rischi di rimetterci in salute.

Per un po’ ho suonato la chitarra e cantato in un trio punk-rock, ma era più un passatempo: qualche concertino, un demo, niente di che. Anche lì, quando la sala prova ha cominciato a stufarmi, ho lasciato perdere.

In libreria ho lavorato per una decina d’anni, e non era male. Lavoravo part-time, avevo accesso a un mare di libri, avevo fatto amicizia con la titolare e i clienti. Poi – indovina un po’? — mi sono stufato anche di quello e mi sono licenziato.

Nel frattempo, una dozzina d’anni fa ho cominciato a pubblicare libri. Più che la pubblicazione, mi piace molto il processo di scrittura di un libro: le varie fasi, le diverse stesure, i momenti belli alternati a quelli brutti, le idee che ti vengono quando meno te l’aspetti e devi appuntartele per non rischiare di dimenticarle. È un’arte come le altre, cioè ha una componente artigianale (sottovalutata dai principianti) che fa sì che se insisti, ti applichi ogni giorno e abbandoni l’idea ridicola di “ispirazione”, alla fine devi migliorare per forza, se il tuo entusiasmo resta invariato. Non so quando mi stuferò anche della scrittura, ma per adesso non è successo.

 

 

Musica, letteratura, cinema, sono elementi che ritroviamo spesso nei tuoi scritti, veri e propri omaggi?

S: Sì. In più mi sembra che contribuisca a caratterizzare un personaggio. Dopotutto i gusti di una persona in fatto di libri, musica, cinema ci dicono qualcosa di lei e della sua sensibilità, giusto? Qualcuno che ami Fellini è diverso (non necessariamente migliore: diverso) da qualcuno che ami, non so, Neri Parenti. E a volte questa differenza torna utile in fase di scrittura, per disegnare meglio un personaggio.

 

 

L’inarrestabile ascesa di Turi Capodicasa ricorda la commedia degli equivoci, elementi farseschi di memoria shakespeariana; ti sei in qualche modo ispirato a questo rapportandolo ai tempi moderni, pungente e sferzante mette a nudo la società dell’apparire e la politica di comodo.

S: Esatto, L’inarrestabile ascesa è un tentativo di romanzo satirico col quale volevo prendere un po’ in giro la classe dirigente del posto in cui vivo, forse non molto diversa da quella del resto d’Italia. Il modo in cui ognuno dei personaggi pensa di sapere tutto del protagonista, Turi, basandosi solo sui propri preconcetti, senza preoccuparsi di conoscerlo mai veramente, descrive abbastanza fedelmente la gente che volevo prendere di mira. È un romanzo cui tenevo molto, peccato che sia passato pressoché inosservato sulla stampa. Mille splendidi libri è stato fra i pochi ad averne parlato, grazie mille.

 

In Italia si legge poco e male?

S: In Italia si legge molto, forse non si è mai letto così tanto. Donne, uomini, bambini, anziani, tutti leggono dalla mattina alla sera grazie ai tanti schermi che li circondano. Il problema è: cosa leggono? Leggono male? Secondo noi lettori seriali di libri: sì, eccome. Secondo noi legge bene solo chi legge libri. Gli altri – i lettori di articoli su internet, per esempio – leggono male. Ma siamo sicuri che sia così? Fino a poco tempo fa mi sarei risposto di sì, che un popolo di lettori di libri è mille volte meglio di uno di non lettori. Adesso non ne sono più tanto sicuro. Dopotutto un tempo i lettori di libri venivano bollati come sognatori perditempo. Magari fra qualche decennio ripenseremo a questi anni e ci diremo: “che tromboni eravamo a criticare chi non leggeva libri”. Chi lo sa? (Come avrai capito, questa risposta è un tentativo di vedere il bicchiere mezzo pieno; visto che i lettori di libri sono in picchiata, non ci resta che sperare che non sia un evento poi così drammatico.)

 

Da libraio ci consigli un libro che assolutamente dovrebbe essere letto?

S: Vi consiglio il mio libro preferito in assoluto. L’ho letto innumerevoli volte e spero di rileggerlo presto. S’intitola Solomon Gursky è stato qui, di Mordecai Richler. In Italia lo pubblica Adelphi e secondo me c’è dentro tutto.

 

 

Per stuzzicarti un po’…

Un autore o un libro che non leggeresti mai?

S: Mai, proprio mai: nessuno. Ti posso dire un autore che non mi ha mai attirato pur avendo un mare di fan: Wilbur Smith. (Ma magari un giorno lo leggerò e mi piacerà, per questo mai dire mai.)

 

Progetti per il futuro? Hai già pensato al prossimo libro?

S: Sì, c’è sempre qualcosa che bolle in pentola, cioè un file sul desktop. Poi, se verrà pubblicato o meno non lo so. Ma ripeto: trovo il processo di scrittura e riscrittura mille volte più divertente della pubblicazione.

 

Grazie mille Stefano 

 

 

2 risposte a "Da libraio a scrittore Stefano Amato si racconta- Intervista all’autore –"

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